Stamattina ci trovo un buco dove fino a ieri c’era un piano e mi dico, con quel fare di mettere in dubbio le cose tipico della mattina, che magari mi ero sbagliato e che lì, il buco, c’è sempre stato e che quello che ricordo, il piano, era da un’altra parte o, addirittura, non era da nessuna parte e che io mi son sbagliato proprio, ma sbagliato di brutto a pensare che lì ci fosse il piano quando invece no. Più ci penso e più non vengo a capo del fatto che ero proprio sicuro che lì ci fosse un piano e non un buco, ma più che un buco, che i buchi son cose piane anche loro, ma cose piane senza fondo, più che un buco, dicevo, una piega delle cose, un arricciamento scosceso della realtà, come un prato sul cucuzzolo di una dolce collina sul quale ti rotoli giocando col cane e che quando arrivi ai bordi tu pensi ce ne sia ancora e invece finisce e ti fa rotolare dentro, giù per la valle, e tu non te ne accorgi perché eri sicuro che lì, fino a ieri, ci fosse un piano infinito e alla fine ti ci trovi in mezzo, senza sapere perché e percome, con i piedi in testa, tutto storto, col fiato corto e la polvere sui vestiti. Il piano è una continuità triste, un posto dove stai, un luogo dove ti muovi solo se tu decidi di muoverti, altrimenti niente. Nei buchi ci finisci e non ti capaciti di come fai a ritrovartici dentro. Allora io, stamattina, ero in quel buco che fino a ieri pensavo ci fosse un piano lì e potevo benissimo starci, fermo, e invece mi son trovato a rotolare, in fondo, e mi sono ricordato di te, che quel buco hai lasciato, scivolando in silenzio fuori dalle lenzuola.
Hai rovinando i miei piani, mi son detto, sorridendo, e poi sono andato a lavoro.
(foto originale di Ulli©graphics)